IL PD FA IL RICORSO CONTRO SICLARI E D’ASCOLA, POI FA LE FUSA E SACRIFICA AMARO!

Irriducibili, o quasi. Anzi no!

Il Partito Democratico, soprattutto quello villese, scivola in una grave e clamorosa contraddizione, dopo avere “partecipato” ad una grande vittoria di civiltà giuridica che il Consiglio di Stato, sensibile ai “richiami” della politica, non ha ancora deciso di suggellare. Oppure di prendere una decisione diversa, facendo ridere il mondo intero.

Gli uomini e le donne del PD, che a quel ricorso hanno “partecipato” e che capiscono benissimo la contraddizione in cui sono incorsi quando dall’alto (o dal basso) gli è stato calato, per queste elezioni politiche, il candidato Nico D’ascola di cui vi risparmiamo la storiella che lo ha portato dal centrodestra al centrosinistra.

TUTTO FATTO IN CASA

Lo ricordavamo, in un articolo del 1° giugno 2017, quando scoprimmo che in quella tornata elettorale il PD reggino aveva suddiviso la provincia in aree di “influenza”, ciascuna assegnata a “maggiorenti” del partito: Villa San Giovanni era stata affidata a Giuseppe Neri, nipote del sen. Vincelli, Consigliere Regionale PD e, soprattutto, cognato del senatore D’Ascola, anch’esso residente nella stessa villetta che fu del compianto senatore DC.

Sicchè, una volta eletto Siclari, con appena il 31% dei voti e una volta pronto il ricorso al TAR – per un’elezione che già il semplice ritardo del Consiglio di Stato nel deposito della sentenza esprime la difficoltà dei giudici di Palazzo Spada – erano “costretti” a sottoscriverlo, sapendo di non star facendo un ricorso contro Siclari – che in materia giuridica non capisce una cippa – ma all’avvocato D’ascola, suo mentore.

NERI PER CASO

Ma chi è Giuseppe Neri, attuale Consigliere del PD?

E’ lo stesso Neri che, nel 2013, lasciava il PD alla provincia per aderire al “Gruppo Misto” per problemi – dettava alla stampa – «politici ed organizzativi». Un modo elegante, per Neri, per “smarcarsi” dal PD e che voci malefiche già lo collocavano prossimo ad aderire al centrodestra, dove il cognato D’Ascola era stato eletto senatore pochi mesi prima per il centrodestra.

Poi la catastrofe del centrodestra che precede il ripensamento e, alle elezioni Regionali, Neri torna al PD e viene eletto. Ma a stupire sono sempre le sue esternazioni, sempre un pò sopra le righe. Fino ad arrivare allo stop alla candidatura in Calabria del ministro, Maria Elena Boschi, che Neri definisce “impresentabile” e che solo dopo i forti richiami interni correggerà il tiro tentando l’arrampicata libera sugli specchi.

A distanza di appena qualche settimana ecco che viene fuori il reale motivo della “impresentabilità” della Boschi in Calabria. Giusto il tempo di far concludere l’accordo tra PD e i “petalosi della Lorenzin” e di affidare al proprio cognato, Nico D’ascola, il collegio all’uninominale della Camera dei Deputati (D’Ascola era stato eletto al senato) ed a Siclari, per il centrodestra, quello al Senato. Un’intesa, quella tra PD e FI che mai come in questa occasione lascia la gravissima ombra di un inciucio già consumato (FI è ben lontana dal quel 39% dichiarato a più riprese da Berlusconi in TV).

DOPPIO SALTO MORTALE

In un sol colpo, dunque, il PD locale perde la faccia e rinnega se stesso e la battaglia giudiziaria  che, in coda ad altri, aveva intrapreso. E lo fa sulla testa di due eletti che alle spalle hanno una tradizione “comunista”, destinati a “morire democristiani”.

Tutto questo nell’inconsapevolezza e buona fede del terzo incomodo, quell’Ottavio AMARO, contrapposto al senato al giovane Marco Siclari, ed a sua insaputa costretto a interpretare il ruolo di agnello sacrificale in una partita giocata su un altro tavolo: quello dell’inciucio tra PD e FI (già pronta a espellere Lega e Fratelli d’Italia da un eventuale “governo di larghe intese) che porterà a fondare quel Partito della Nazione che altri non è se non la fotocopia imbruttita della DC.

Se questo deve essere, a ciascuno la propria valutazione! Che, certamente, per noi è quella di evitare  che la deriva di certa politica consegni il Paese e le istituzioni al peggiore affarismo.

24/02/2018

antonio morabito

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