A Reggio, nella futura città Metropolitana, vince Giuseppe Falcomatà con una percentuale che definire bulgara non fornisce il quadro esatto di quello che è accaduto, con una affluenza alle urne inferiore del 10% rispetto alle precedenti elezioni che nessuno dei candidati è riuscito ad intercettare.
Nemmeno i 5 Stelle che dalla competizione escono massacrati con una percentuale di poco superiore a quella della nicotina contenuta in un pacco di sigarette.
Vince, dunque, Falcomatà. E non vince per il cognome che porta ma per la ventata di novità, per la sua freschezza, in una città dilaniata da un debito terribile, dai favori agli amici e agli amici degli amici di un gruppo di potere che non ha smantellato solo la destra ma la politica.
Dattola è solo l’agnello sacrificale di un sistema crollato, dentro il quale, però, è ancora forte il richiamo a quel “modello Reggio” che ha sacrificato una città intera prima, una provincia dopo e aveva posto le basi per demolire la Regione. Ma non ha fatto in tempo.
Che ne sarà di noi
Un Governo che ha tenuto in bilico una Regione per 9 mesi (dalle dimissioni di Scopelliti) e retto da un Vice Presidente senza una investitura popolare, capace delle peggiori nefandezze (non che prima abbia brillato), prima di concedere, ai Calabresi, nuovamente le urne.
Banco di prova
Reggio ha cambiato, ha trovato una serie di condizioni, create da strutture che iniziano a funzionare, ma non basta. Adesso occorre non avere paura ed affrontare le altre sfide che ci aspettano!
La Regione, prima di tutto e poi le Comunali della nostra città, dove il sindaco ha già annunciato, davanti a Dio e davanti agli uomini, di non voler ripetere questa avvilente esperienza e dove gli aspiranti successori sono succubi e subalterni di un “modello Reggio” che tenta di risorgere dalle proprie ceneri. Ma non è l’Araba Fenice!