IMBARAZZANTE COMPORTAMENTO DEL MINISTRO DELL’INTERNO MENTRE RESTANO DUBBI E ATTENTATI

il Ministro dell’Interno, Minniti (e prima di lui Alfano) dovranno, prima o poi, spiegare attraverso quale ragionamento logico (non certo il loro), hanno deciso che nella città di Villa San Giovanni, che la Procura inquadra come fortemente inserita in contesti criminali e dove un sindaco viene addirittura – forse al di là dei suoi meriti – accusato di avere favorito l’espandersi o il consolidarsi di una associazione criminale, non debba essere inviata una Commissione d’Accesso per la verifica di eventuali condizionamenti mafiosi, mentre a Gioia Tauro, il cui Consiglio Comunale si è autoliquidato (esattamente come Villa S.G.) debba subire le “forche caudine” di una Commissione d’Acesso, mentre il sindaco – sino al momento – non appare notizia sia stato raggiunto da alcun provvedimento dell’Autorità Giudiziaria.

Il quesito è tutt’altro che di semplice comprensione o, meglio, la decisione dei Ministri e della locale Prefettura rischiano di lasciare sconcertati e aprono a scenari che potrebbero indurre a ritenere come i grandi e particolari interessi di un piccolo Lembo di Patria, vogliano svuotare di contenuti una serie di inchieste giudiziarie, che finalmente hanno coinvolto la città di Villa San Giovanni.

UN ESEMPIO A CASO

Le inchieste condotte dagli uomini guidati dal Procuratore Capo, Federico Cafiero De Raho, hanno messo (e stanno mettendo) in luce una serie di condotte che – in ipotesi – coinvolgerebbero l’Amministrazione Comunale in vicende “opache”, ma ancora non chiariscono del tutto la storia politica e giudiziaria di una città per troppo tempo lasciata alla mercè di traffichini e di un potere criminale che sicuramente deve essersi consolidato anche col supporto di personaggi che si sono nascosti dietro lo schermo delle istituzioni a tutti i livelli.

La “Perla dello Stretto”, ad esempio (non la Nuova Perla dello Stretto), nata nel 2001 in un contesto che la Squadra Mobile di Reggio Calabria aveva ben delineato, come ha riferito in aula, nel processo “Archi Astrea”, il Dott. Silipo e l’Isp. Crucitti, come un mastodontico affare per gli uomini dei clan e per gli “arcoti” in particolare, ma che sembra essere rimasta lettera morta.

I pratogonisti e i fatti dell’epoca occupano una casella importante ma che è rimasta vuota anche nelle responsabilità che di qualcuno dovevano pur essere, nonostante gli atti dimostrassero persino le falsità che hanno sotteso a quell’apertura, ben più di quella odierna dove il favoritismo pare si annidi sulla speditezza dell’iter di alcune autorizzazioni.

DUBBI CHE PERMANGONO

Su questa vicenda, sembra calato il silenzio, mentre su quella odierna – sino ad ora – le inchieste, giustamente, sono ferme all’accertamento sull’esistenza di una sorta di “cupola” che determina i destini di una provincia, fors’anche di una Regione e – per quanto d’interesse – di un intero Paese. Attività che, se venisse verificata e certificata da una sentenza, cambierebbe il modo di intendere e di combattere la n’drangheta.

La magistratura però, faccia la sua strada (senza dimenticare nulla) e ad essa va il merito, il grande merito di essere riuscita a violare anche i santuari mai esplorati (non solo quello di Polsi). E se è vero che la lotta alla ndrangheta è una lotta sinergica, attraverso più forze, dove ognuno fa un pezzo di strada, accanto alla magistratura non devono esserci solo gli uomini delle Forze di Polizia ma anche gli altri apparati dello Stato, le Istituzioni più alte e, infine, la società civile.

Ecco, ci sembra che dietro la NON decisione – perchè assumere la decisione dell’invio di una Commissione d’Accesso era un fatto più che naturale – restino dubbi che la mente umana non riesce a superare con la sola ragione. Specie di fronte ad un sistema politico zitto su questo tema e interessato solo a chi dovrà essere chiamato a svolgere la funzione di sindaco.

E PURE GLI ATTENTATI

Certo la notizia apparsa questa mattina non aiuta a chiare i tanti dubbi. L’auto data alle fiamme, che la stessa dott.ssa Patrizia Liberto riconduce alla propria attività politica (anticipando le risultanze investigative sull’origine dell’incendio e nonostante l’auto fosse intestata alla suocera), lei ha da subito escluso che il gesto fosse diretto al marito (imprenditore edile) e se ancora ce ne fosse il bisogno, ricollega il fatto – per voce della stessa Liberto – ad una criminalità ancora pregnante, ancora forte, che ancora sarebbe capace di condizionare scelte politiche.

Ed è un atto atto ancora più meschino, se si considera la grave sfida alle istituzioni, per un gesto perpetrato nel giorno in cui, le rivendicazioni femminili, hanno fatto da sfondo ad una giornata che ha abbandonato i gli scenari festaioli per diventare la celebrazione di una giornata di lotta per la rivendicazione della parità di genere.

Una lotta che ci ricollega alla ragione che induce lo Stato, ad ostinatamente impedire l’arrivo della Commissione d’Accesso e che, di certo, se la Liberto trovasse anche la lucidità per affermare, sebbene in ipotesi, l’ambiente che ha armato la mano degli incendiari, aiuterebbe moltissimo Ministri e Prefetto e renderebbe un servizio a questa città.

09/03/2017

antonio morabito

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