ELEZIONI A VILLA: UN INGANNO TIRA L’ALTRO… E SPUNTANO I SOLITI NOTI

Perché mai un senatore della Repubblica, autorevole come il Presidente della Commissione Giustizia, continui con forza e determinazione a difendere la candidatura di Giovanni Siclari alla carica di candidato a sindaco del centrodestra, pur sapendo che nel caso in cui fosse eletto verrebbe contestualmente sospeso per effetto della “legge Severino”?

Chiaro che a chiunque venga rivolta la domanda, troverà difficoltà a trovare una risposta che sia supportata dalla logica, perché – a queste condizioni – Siclari è oggettivamente un candidato debole. E forse proprio per questo andrebbe imposto, consentendo che altri possano pensare di “vincere facile”.

Anche la riunione di ieri, di NCD o Alternativa Popolare o come diavolo si chiama, alla presenza del Senatore, più che sciogliere i nodi ha confermato la determinazione di Siclari, sostenuto da D’Ascola (in realtà D’Ascola sostiene un candidato di AP che ritiene più autorevole), a ricoprire il ruolo di sindaco in una lista di centrodestra.

L’IPOTESI ALTERNATIVA

Mettiamo che ove Siclari avesse l’acume necessario per candidarsi, anche a semplice consigliere, lasciando la casella di sindaco – ad esempio – a Mariagrazia Richichi, non solo aumenterebbe in modo esponenziale la capacità attrattiva della lista ma, anche, la possibilità di vittoria contro il “mucchio selvaggio” che vede, insieme, quel che rimane del Partito Democratico (scusate il bisticcio di parole) e Area Popolare, cioè la corrente che fa capo a Rocco La Valle.

L’idea non è affatto peregrina e oltre a godere di un positivo impatto dentro ampi settori della società villese, godrebbe dell’assoluto appoggio anche di ex consiglieri in predicato di essere nuovamente candidati e che, a dire il vero, subirebbero con difficoltà l’eventuale scelta di un candidato a sindaco azzoppato.

E torna la domanda iniziale: allora perché il senatore D’ascola continua a sostenere una candidatura che il “mucchio selvaggio” continua a ritenere uno spauracchio?

L’UNTO DEL SIGNORE CHE UNISCE

Dalle parti del “mucchio selvaggio”, il clima è  falsamente arroventato. Nel senso che si fa finta di fare strategia e invece è solo tattica, avendo già in tasca e ben chiaro il nome del candidato a sindaco e questa fase è necessaria per azzoppare tutti i nomi in lizza.

Bellantone (Filippo) che godrebbe del sostegno del Presidente Irto, è una candidatura più che debole inconsistente e trova le resistenze di molti dentro il PD, mentre la candidatura di Ciccone viene vista come d’ispirazione “lavalliana” che ne avrebbe timidamente fatto il nome proprio per bruciarlo.

Il nome che gli “autorevoli” esponenti del PD, e lo stesso La Valle, hanno in serbo (e che non ha mai smentito ufficialmente), è quello di Totò Calabrò che non è che sia “un uomo per tutte le stagioni” ma solo il frutto di un accordo che potrebbe aver riguardato gli stessi Calabrò e La Valle, sin dall’elezione del 2010. In tutto questo, Mariagrazia Richichi, che sembra stare recitando il copione che altri hanno scritto, sarebbe chiamata a svolgere il ruolo di Vice Sindaco di Calabrò. E a suffragare questa tesi, anni e anni di finta opposizione e di “siparietti” appositamente allestiti quando il ruolo di sindaco era svolto da Rocco La Valle.

FANTAPOLITICA O REALTA’?

La Richichi, in forza di rapporti personali-familiari con Calabrò, potrebbe essere stata chiamata a stare in “religioso silenzio”, per poi giustificare la scelta di essere candidata con Calabrò addebitando tutto al mancato “passo indietro” di Siclari, sempre sostenuto dal Sen. D’Ascola che alla fine, pur avendo comunicato l’out-out a La Valle (o con noi o sei fuori dal partito), potrebbe avere, consapevolmente o meno, interpretato il “ruolo delle parti”, ben sapendo che La Valle è sostenuto dal gruppo che fa capo ad Alfano.

A suggellare l’accordo, peraltro, potrebbe essere arrivato il “placet” di imprenditori più o meno locali, che sanno come nessuno, tra gli odierni protagonisti, ha mai mosso un dito per difendere la Comunità..

Sul piano nazionale, oltretutto, PD e AP sono già al Governo del Paese, in un’alleanza però giustificata dalla necessità di “compiere quelle riforme necessarie all’Italia” ma che l’Italia ha bocciato col Referendum del 4 Dicembre, che ha dimostrato come gli elettori siano molto meno imbecilli di quanto creda la politica.

Sarebbe stata, per il PD, una contraddizione in termini quella di definire “strategica” un’alleanza a “sinistra” con il “nuovo centro destra”. Ed è per questo che Alfano, già delfino di Berlusconi, si è premurato di correre ai ripari – dopo essere stato scacciato dalla destra – per cambiare il nome al partito, permettendo di porre le basi per quella che sarà una santa alleanza di centro, dal momento che il PD ha perso anima, passione e sentimento di sinistra.

31/03/2017

antonio morabito

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